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Colpisce, osservando i quadri di Giovanni Truncellito, il perfetto equilibrio fra colori,
forme e spazio: si direbbe che tutta la sua vita, proiettata attraverso i simboli nel suo
lavoro, abbia una scansione ritmica in cui misure, matematica e fantasia si intersechino
con una cadenza regolare, priva di attriti, secondo un fluire armonico e predeterminato.
Forse gli studi in architettura hanno improntato un certo tipo di ricerca di perfezione
nel realizzare le immagini che ci propone attraverso i suoi dipinti, ma non è questa
sicuramente l'unica matrice delle raffinatezze oniriche di quel mondo magico che si
intravede in tanti piccoli particolari: credo che sia importante considerare anche il dono
attribuitogli alla nascita da Euterpe, la Musa che lo ha accolto fra le braccia,
donandogli il talento musicale.
Nella sua arte non vi è forma che non ricordi e susciti la sensazione di già vissuto, di
già noto e facilmente decodificabile per chi ama il mito in tutte le sue espressioni e
nell'immersione percepisce quella sensazione di benessere determinata dal proprio entrare
in sintonia a più livelli contemporaneamente.
Confesso infatti di essere rimasta affascinata dalla intensità dei simboli sempre così
intimamente connessi nella loro duplicità da rendere la lettura apparentemente facile e
subito dopo da sollecitare una più approfondita ricerca per vedere oltre e assaporare
ancora maggiormente la costruzione dell'immagine. Un gioco dicotomico in cui la doppia
valenza di ogni tratto attrae in modo seducente.
Perché se c'è il bianco necessariamente deve esserci il nero, se compare il rosso, il
verde farà da controaltare e se la dominante è blu l'arancione tenderà al rosso; ma
sempre in un particolare preposto a dare il messaggio occultamente, attraverso il simbolo
che per metterci sull'avviso emergerà dal sogno.
Il sogno: quello stato mentale al di fuori della coscienza che dà accesso al mondo
popolato da forze primordiali immortali, il luogo da dove giungono le immagini di
Giovanni. Mi sembra infatti piuttosto manifesto che queste provengano da un inconscio a
cui è stato dato libero accesso al quotidiano, a cui non è stato negato un ruolo
determinante per la crescita dell'individuo nelle sue molteplici sfaccettature, sempre nel
doppio registro di realtà-non realtà.
Non vi può essere infatti realtà contingente senza la sua doppia identità nascosta:
come se, seguace di Horus, osservasse il proprio doppio nel seguace di Seth, senza per
questo voler entrare nel giudizio.
Giovanni dipinge e osserva, si osserva e si dipinge senza astrarsi dalla tela, dai colori
e dai mille pennelli: è determinato nel voler portare al massimo della compiutezza il suo
intervento nell'altra realtà, quella che sta creando nelle vesti di Demiurgo. Nello
stesso tempo vuole la libertà di sognare e di lasciarsi portare in profondità ad occhi
aperti senza essere risucchiato da forze occulte che vorrebbero renderlo prigioniero.
Si potrebbe supporre una sua appassionata frequentazione dei Veda, sacri testi indiani,
nonostante l'impronta di grecità molto spiccata: nei suoi quadri dichiara ripetutamente
che il contatto con la sua anima può appartenere allo stato di veglia, allo stato di
sonno e allo stato meditativo. Artista, figlio della Musa e padre dei suoi dipinti,
rivendica la sua appartenenza al genere umano attraverso un'umanità genuina e spontanea
che è propria di chi sa rivolgere il senso dell'umorismo verso se stesso, rendendosi
forte nella propria debolezza, debole nella propria forza.
Un dato è certo: non vuole intromissioni nel monologo con se stesso e per ascoltare il
proprio suono interiore seleziona la realtà esterna in rapporto a ciò che più è
pertinente con la sua possibilità creativa.
Potrebbe essere diverso?
Non credo, perché l'Arte non è una professione: è uno stato dell'essere che si
impadronisce di noi, ci condanna a vivere in un determinato modo, ci obbliga a scelte non
sempre vantaggiose e ci riduce ad adepti spesso in contrasto con noi stessi, con quella
parte di noi che ci vorrebbe diversi, meno esigenti più accondiscendenti alla realtà in
cui viviamo.
In aiuto a Giovanni, la musica. Euterpe, al suono del flauto, compone musiche celesti al
ritmo delle quali le tele si popolano di dei e umani in un alone magico: ad un'attenta
lettura potremmo scoprire che i personaggi sanno uscire dai loro rifugi la notte per
popolare le nostre abitazioni e ricrearci un'Arcadia domestica del tutto rasserenante.
Chicca Guglielmi Morone
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