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SEGNO E LIMINARITA' NELL'OPERA DI
GIOVANNI TRUNCELLITO
Pittura di trasfigurata pienezza,
quella offerta da Giovanni Truncellito : pittura materica di iridescenze cangianti che
nulla attende e che nulla chiede al conforto e alle illusioni del Logos. Pittura di
estatica flagranza, certo, per dirla con le parole di Cesare Brandi. Ma anche pittura
dell'estasi, che rilegge e rielabora il mito, facendo di quest'ultimo l'occasione
esemplare di un improvviso disvelamento. Una ri-"velazione" che cede allo
stupore dello sguardo e che si lascia riassorbire dal flusso del tempo. Oltre la storia,
e, insieme, al fondo della temporalità storica, l'opera di Giovanni Truncellito scopre,
nelle forme poliedriche del racconto mitico e nella sapiente evocazione di immagini
archetipiche sedimentate nell'inconscio, il luogo misterioso e sospeso di una iniziazione
infinita. Il luogo di un'epifania che è anche formazione, educazione consapevole al gusto
e alla contemplazione del Bello. Epifania che alimenta evidenze ulteriori e che assume la
concreta pregnanza delle cose e dei volti come simbolo intransitivo e assoluto di qualcosa
che è, insieme, presente e assente. Vale a dire : presente proprio nella sua assenza
immemoriale. Presente nel gioco metamorfico delle figure che, come fossero
"personae" di un dramma liminare e intermittente, appaiono per un istante e poi
dileguano, essendo affidate - già da sempre - al gesto del pittore che ha il compito di
trattenere quell'attimo breve eppure interminabile. Perché quell'istante ci appartiene e
lo sguardo dell'autore, volgendosi all'originaria, fontale pienezza dell'Essere, di quel
repentino schiudersi e apparire non è più solo demiurgo e artefice, ma, davvero, poeta e
testimone. Aedo di una presenza oscura. Testimone di un "comporre" sempre e di
nuovo rinnovato. "Soglia d'amore", dunque, è la pittura in quanto tale. Non
più o non solo un'opera determinata e singolare, ma la sintesi architettonica - o, forse,
l'anticipazione abbreviata - di ogni produzione artistica. E, quindi, la cifra di uno
stile preciso, l'emblema - vorrei dire, l'icona - di un "fare" tipizzato e, per
questo, inconfondibile. "Soglia d'amore" che dice l'ineluttabile finitezza del
nostro sussistere terreno, la costitutiva liminarità di ogni azione, di ogni gesto, di
ogni segno che sappia offrire se stesso - in modo perspicuo - non solo alla nostra retina,
ma soprattutto al nostro "sentire". E la pittura di Truncellito vuole essere
proprio questo : segno che trascende se stesso e che, al fondo del suo mostrarsi, di
colpo, evoca qualcosa che è altro da sé e che, nel suo stesso presentificarsi, di fatto,
viene meno e dilegua. "Il belcanto", forse. Immagine di una realtà
indeterminata e instabile. Una realtà che emerge e che, inspiegabilmente, sta, tra sonno
e veglia, tra stupore e incanto. Come le favole. Come il mito : icona e simbolo di ogni
possibile narratività. "Estasi", allora evoca e trasfigura questa volontà di
adesione al limite che è anche volontà di trasvalutazione del mondo. Ovvero : la
capacità di accettare il nostro incerto sussistere e consistere, tra luce e ombra, tra
segno e designato, tra immagine e rappresentazione. Non dividere il "si" dal
"no". Non deformare quella costitutiva "insecuritas" che fa uomo
l'uomo : è questo il compito, etico e, insieme estetico, che l'opera e la ricerca
espressiva di Giovanni Truncellito assumono e manifestano. Un limite che l'autore sa
cogliere, di volta in volta, con sorprendente puntualità e rigore. Opera perspicua,
dunque. Carica di una modularità architettonica che non rinuncia all'euritmia, anche
nella deformazione dei caratteri e dei tratti. Anche nella dolente pietrificazione delle
forme e dei gesti. Un'opera - quella espressa da Truncellito - che sente e che rende
plastico il fondo delle cose. Ovvero : l'orizzonte opaco del mito, che precede e vivifica
ogni scrittura, ogni costruzione letteraria. Per restituire voce al silenzio originario,
alla parola monosillabica e geroglifica che è prima e al di là di ogni schema
sintattico. Immagine essenziale del mito, allora, non può non essere - per Truncellito -
Medea. Medea che non "ci" guarda. Medea che appare in sé : rivolta e - come
l'Angelus Novus di Klee - ritorta verso l'immemoriale profondità di un passato che fa
tutt'uno con l'oblio. Medea che si sottrae, sempre. Come Dioniso, nella Nascita della
tragedia di Nietzsche. Medea che ha in sé la trasparenza e l'opacità : la densità
libidica e pulsionale del rosso e l'oscura, magmatica pienezza del nero. Una figura che
non è più immagine denotativa, perché - esasperando la strutturale autoriflessività
che è propria di ogni immagine - rinvia solo a se stessa. Un rimando che non può essere
giustificato in termini logico-razionali, se è vero che trae la sua forza dalla capacità
di tenere insieme, paradossalmente, la sapienza profetica del mito e le contraddizioni
irrisolte della modernità. Strappata al mito - cui, tuttavia, appartiene - Medea è
attraversata da una differenza imponderabile che la divide dall'interno e che la rende
estranea a se stessa. Non più modello universale, dunque, ma figura incerta e s-figurata
che il gesto costruttivo del pittore re-inventa e ri-definisce, cogliendo - in quella
concretezza opaca - qualcosa che, pur offrendosi nel visibile, è altro dal visibile.
Medea e Maria Callas, sotto questo profilo, coincidono. Perché rimandano alla stessa
intraducibile profondità, portandola sulla scena ambivalente della rappresentazione e del
contemporaneo. Medea come Maria, Maria che ripete, nel contemporaneo, l'ambiguità di
Medea. L'una presuppone l'altra, in una stratificazione discontinua che intreccia e
confonde i piani temporali : il mito e la storia, il passato e il presente, il divino e
l'umano. Attualità di un presente che non è se non ripetizione eterna e incessante
attualizzazione del passato. E, quindi : attualità di un sentire che è, nello stesso
tempo, prefigurazione del futuro. Il "già" che anticipa ciò che non è ancora.
Ciò che è di là da venire. Maria, hic et nunc. Medea, ubique et semper. Lo sguardo del
pittore le rende inscindibili. E il teatro della rappresentazione,
"tras-figurandone" la presenza, le unisce e le mette in scena.
Antonio Valentini
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